Percorso Audio
Per una miglior esperienza audio consigliamo l’ascolto con le cuffie.
Introduzione

Il museo popoli e culture
Leggi il testo
Felice di accoglierti al Museo Popoli e Culture.
Io sono Paola Rampoldi, curatrice del Museo e ti accompagno in questo percorso.
Il racconto non segue una successione prestabilita, e i numeri abbinati agli oggetti, che poi ritroverai anche nelle vetrine, servono solo per identificare meglio qual è l’oggetto di cui ti sto parlando. Muoviti quindi liberamente nello spazio e segui il percorso che preferisci.
In alcuni angoli del Museo, appesi a dei ganci, trovi degli sgabelli pieghevoli, prendine uno se vuoi ascoltare e vedere in modo più comodo, sono lì per te.
E prima di iniziare, ecco una breve presentazione del Museo.
Il Museo Popoli e Culture nasce nel 1910 grazie all’opera dei missionari del Pime i quali, a partire dalla prima missione in Papua Nuova Guinea nel 1852, hanno portato in Italia oggetti che hanno ritenuto significativi ed emblematici per raccontare ai milanesi di allora culture, tradizioni ed espressioni artistiche diverse e distanti non solo geograficamente.
In origine, il museo era infatti pensato come una semplice raccolta eterogenea di beni.
Le foto d’archivio ci consegnano l’immagine di un museo pieno di oggetti all’epoca per lo più sconosciuti e di animali imbalsamati, destinati a meravigliare il visitatore e a trasportarlo nell’atmosfera esotica che a quei tempi l’immaginario attribuiva ai paesi lontani.
Nel corso del tempo, la sua fisionomia è cambiata molto e ne sono testimonianza le diverse denominazioni che sono state date al museo e il susseguirsi degli allestimenti che puoi scoprire guardando il breve video che introduce la visita.
Noi oggi prendiamo questo testimone con l’intenzione di proseguire il racconto arricchendolo di altri sguardi e altre prospettive. Vorremmo infatti che questo fosse un luogo di dialogo e di riflessione dove molte voci si intrecciano e i punti di vista sono differenziati.
Per questa ragione, se vuoi condividere i tuoi pensieri, le tue storie e le domande che gli oggetti esposti ti fanno venire in mente, puoi scriverci o condividere un post sui nostri canali social. Vorremmo infatti che questo fosse un museo per incontrare e per accorciare le distanze.
Buona visita
1.

La casetta degli spiriti
Leggi il testo
Viaggiando per la Thailandia è impossibile non vederle.
Si trovano ovunque: nelle strade delle città, nei villaggi più sperduti, nei cortili degli uffici, delle case e, degli alberghi o alla base degli alberi più imponenti.
Sono le casette degli spiriti, riproduzioni in miniatura di case tradizionali, come questa. Il loro compito è quello di ospitare gli spiriti guardiani che hanno il potere di proteggere un luogo e portare fortuna a coloro che lo abitano o ci lavorano.
Ci sono persone che ogni giorno si fanno carico di portare offerte agli spiriti: fiori freschi, incensi, candele, frutta, cibo o bevande analcoliche, e le depositano con delicatezza e devozione davanti alle casette.
L’abitudine di creare questo genere di installazioni deriva dalla credenza negli spiriti radicata nel Paese da moltissimo tempo. Non venne abbandonata nemmeno con il diffondersi del Buddhismo e continua ad essere diffusa anche oggi, insieme a nuove forme di spiritualità.
2.

Danza della tucandeira
Leggi il testo
Siamo nella foresta amazzonica, Brasile del Nord. Lungo i due principali corsi d’acqua della zona, vivono i Saterè Mawè, una piccola comunità etnica.
È il momento del rito di iniziazione maschile, una prova di forza e coraggio per il ragazzo che sta per passare all’età adulta durante il quale questi oggetti giocano un ruolo fondamentale.
Tucandeira è il nome portoghese di una formica di grosse dimensioni, il cui addome termina con un pungiglione che, in caso di puntura, provoca dolore, gonfiore, arrossamento, febbre e brividi. Dopo essere state catturate e messe in un recipiente, il tum tum, le formiche vengono intorpidite con un preparato di acqua e foglie e infilate una ad una tra le trame del guanto, con il pungiglione rivolto all’interno.
Quando le formiche si risvegliano inizia il rito vero e proprio. Il direttore della danza fa scivolare i guanti sulle mani dei candidati e vi soffia sopra del fumo di tabacco, per irritare ulteriormente le formiche. I suonatori scandiscono il ritmo con tubi di legno mentre i candidati iniziano a danzare. L’obiettivo è tenere i guanti per almeno dieci minuti. Trascorso questo tempo, le mani dei giovani – ma anche parte delle braccia – sono temporaneamente paralizzate dal veleno delle formiche, e molti finiscono per crollare a terra sopraffatti dal dolore.
Eppure, grazie a questa prova, i giovani Sateré-Mawé si preparano a diventare buoni pescatori e cacciatori, ad avere fortuna nella vita e nel lavoro, ad essere uomini forti e coraggiosi riconoscendo le proprie origini, leggi e usanze.
Dall’adolescenza in poi ognuno di loro dovrà ripetere questa prova una ventina di volte. L’intera comunità partecipa unita al rito, sostiene i candidati e osserva come lo affrontano. È un momento importante per tutti, per conoscersi, incontrarsi, contrarre futuri matrimoni e rievocare il mito sull’origine delle stelle, del sole, della luna, dell’acqua, dell’aria e di tutti gli esseri viventi.
3.

I Lambadi
Leggi il testo
Guarda questi gioielli e tessuti,
Nota come sono….
Anche a te sembrano destinati a donne di grande valore?
Ebbene, questi gioielli e tessuti sono stati indossati dalle donne Banjara, una comunità etnica probabilmente arrivata in India, nell’attuale Rajasthan, dall’Afghanistan.
Ed è così, in questa comunità, le donne sono il perno della società e sono considerate un vero tesoro. Il loro abbigliamento è tra i più eclatanti dell’India: le loro vesti sono multicolori, decorate con conchiglie di mare e specchietti; portano al collo una, due e a volte anche tre elaborate collane e le braccia sono ricoperte da numerosi bracciali; i loro copricapi hanno sul bordo delle monete inglesi, d’epoca coloniale, che dondolando producono ad ogni passo un tintinnante suono argentato. Nemmeno i piedi sono dimenticati: molte donne sfoggiano cavigliere e anelli creati dalla fusione di quattro monete, che rappresentano i figli avuti.
Da sempre commercianti, nomadi e carovanieri, i Banjara (detti anche Lambadi) trasportavano ogni sorta di mercanzie: i loro carri, trainati da buoi, erano carichi di sale, frutta secca, lenticchie, ornamenti, oro e argento. In continuo movimento, i Banjara sostavano solo nei giorni di pioggia, nelle vicinanze di una sorgente. I loro caratteristici villaggi itineranti, chiamati tanda, erano costituiti soprattutto da legami familiari.
Pensa che, nel 1871 gli Inglesi, colonizzatori dell’India, inserirono i Banjara, e molte altre comunità, nel Criminal Tribes Act, perché resistettero al tentativo britannico di impossessarsi delle loro terre per le piantagioni e di essere arruolati come manodopera. Il Criminal Tribes Act è un documento che ha discriminato intere comunità definendole criminali abituali. In base a questi atti, le comunità etniche o sociali in India sono state definite come “dipendenti da reati sistematici non soggetti a cauzione”, come i furti, e sono state registrate dal governo. I maschi adulti dei gruppi sono stati costretti a presentarsi settimanalmente alla polizia locale e sono state imposte restrizioni ai loro movimenti.
Nel 1949, dopo l’indipendenza, queste comunità sono state de-notificate dall’atto, ma nel 1959 sono state comunque inserite nella lista dei criminali abituali.
Solo nel 2008, la Commissione nazionale per le tribù denotificate, nomadi e seminomadi del Governo Indiano ha raccomandato un sistema di politiche e pratiche per includere in tutti gli ambiti della società le comunità discriminate. Nonostante ciò, tuttora i membri di queste comunità combattono con numerosi stereotipi e vengono marginalizzati.
4.

I Kayan
Leggi il testo
Il tessuto bianco a righe rosse verticali e i gioielli che vedi esposti qui, appartengono alle donne Kayan (o Padaung), gruppo originario dello stato Kayah o Regione Karenni nel Myanmar sud-orientale, al confine con la Thailandia, una zona abitata da molte comunità etniche già note come ‘Tribù dei Monti’, che condividono una storia tormentata di conflitti armati con il governo del Myanmar.
Attualmente, infatti, la maggior parte dei Kayan è scappata dal Myanmar e vive sui monti in Thailandia, insieme ad altri gruppi.
I tessuti, insieme alla conoscenza delle tradizioni sartoriali, hanno una grande importanza per l’identità Kayan e spesso sono accompagnati da numerosi gioielli.
Le donne Kayan, ad esempio, indossano al collo, alle caviglie e sulle braccia, degli anelli di ottone, forse ne hai già sentito parlare.
Si tratta di una sola verga piegata a spirale in tanti cerchi quanti ne permette la sua lunghezza.
L’applicazione, ha inizio verso i 5 anni e si conclude circa 20 anni dopo.
Durante questo periodo di crescita vengono applicate al collo delle ragazze verghe sempre più lunghe.
Per tutta la vita la donna Kayan dovrà sopportare sulle spalle un peso che può variare dai 12 ai 16 chili, e ciò comporta un abbassamento delle spalle, e non un allungamento del collo come spesso molti pensano.
Alcuni storici farebbero risalire l’origine di questa usanza a un voto fatto da una regina nel XV secolo, ma non mancano altre leggende in proposito: una ad esempio narra che i cerchi al collo e alle gambe furono messi dai Kayan per proteggere le loro donne dell’attacco delle tigri.
Per via di questa particolarità, a partire dagli anni ‘30 del 900 le donne Kayan venivano usate come modelle per essere fotografate ed esposte nei circhi.
Oggi in Thailandia sono rinchiuse in riserve, dove sono tenute nelle condizioni più primitive possibile, per poter così offrire un’esperienza ‘genuina’ ai turisti: non possono studiare o lavorare e l’assistenza medica e sanitaria è sotto il livello minimo necessario.
Nel 2005 l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha aperto le registrazioni per il ricollocamento dei rifugiati birmani in altri paesi, ma i Kayan non possono entrare in queste liste perché il governo li ha collocati in un unico posto allo scopo di preservare la loro cultura e creare un unico centro turistico e dunque non possono ricevere lo status di rifugiati.
Dal 2008 alcune donne più giovani hanno iniziato a scegliere di togliere gli anelli per poter lasciare le riserve in cui sono costrette a vivere, e avere quindi la possibilità di essere rilocate in altri paesi.
Come ad esempio Zember, la cui fotografia si vede spesso sui materiali di promozione dei villaggi, che è diventata una vera attivista.
Le sue richieste hanno ricevuto talmente tanta attenzione che è diventata una figura leader del movimento Padaung e nel 2008 è stata riallocata in Nuova Zelanda dove ha potuto andare a scuola.
Dice di essere felice lì ora.
Per lei gli anelli erano diventati una prigione.
5.

Piumaggi brasiliani
Leggi il testo
Per gli Indios del Brasile gli uccelli sono creature elette dai poteri e doti straordinarie. Abitano il cielo e sono quindi più vicini alle forze vitali: sole, luce, calore e pioggia.
I volatili vivono nella foresta, luogo amato e allo stesso tempo temuto e misterioso, e rigenerano costantemente il loro piumaggio come fanno le piante con il fogliame.
Gli uccelli, come la foresta, tendono dunque all’immortalità.
Per queste ragioni indossare le loro piume non è questione di sola estetica. Non si tratta solamente di “farsi più belli” ma di voler “assomigliare a qualcos’altro”, invocarne la forza, aspirare ad avere le stesse qualità, proteggersi.
Anche la collana di denti di giaguaro richiama la stessa funzione. Il giaguaro è il Signore degli animali, il principale alleato di molti sciamani. Viaggiatore tra i Mondi, ha la saggezza antica di tenere le sue conoscenze segrete. E’ il Signore dell’eco e il suo ruggito è la voce del Tamburo e del Tuono. Indossare denti di giaguaro può significare quindi anche aspirare a questa chiaroveggenza, a una diversa visione del tempo e della realtà.
6.

Guanyin
Leggi il testo
Queste tre sculture in pietra rappresentano Guanyin, dea della misericordia.
Tutte e tre la raffigurano in piedi su un fiore di loto e con la veste regale. Insieme ai suoi assistenti custodisce un vaso prezioso: al suo interno infatti si trova il nettare della compassione.
Nata in India con il nome di Avalokitesvara (letteralmente “Il Signore che guarda in giù”), questa divinità assume sembianze femminili dopo il suo arrivo in Cina, intorno all’VIII-IX secolo d. C., probabilmente perché alcune sue qualità come la pietà, la misericordia e la compassione erano viste più vicine all’elemento femminile e materno.
Guanyin è un bodhisattva, ovvero un essere destinato all’illuminazione che si trattiene volontariamente dalla sua ricerca personale per poter guidare e soccorrere gli altri esseri viventi.
Nel museo si possono vedere altre rappresentazioni di Guanyin tra cui Guanyin dalle 1000 braccia e quella con un cesto di pesce.
7.

Molas
Leggi il testo
A Panama, nell’arcipelago di San Blàs, vivono i Kuna, un popolo indigeno le cui donne sono famose per le loro molas, splendidi tessuti colorati, ottenuti con una tecnica particolare che prevede l’utilizzo di più strati sovrapposti di stoffa variopinta che vengono poi applicati su delle camicette altrettanto colorate.
Ogni donna Kuna crea la propria mola e la indossa a seconda dei suoi gusti e desideri, al di là delle mode o delle tendenze del momento. La tecnica è raffinata e mediamente ci vuole circa un mese per realizzarne una.
All’origine di questi tessuti probabilmente c’era l’usanza dei Kuna di dipingersi il corpo con colori naturali: erano le donne che eseguivano i tatuaggi e ancora oggi, il loro ruolo di decoratrici continua nelle molas che possono rappresentare soggetti mitologici, flora e fauna tipiche della zona, oppure ispirarsi liberamente ad avvenimenti, illustrazioni e oggetti d’uso; la raffigurazione può essere narrativa o geometrica, come in quelle più antiche.
Alcuni disegni hanno inoltre un forte valore simbolico: il labirinto, ad esempio, se riferito a Dio, richiama la creazione e l’origine della vita, se riferito all’uomo, rappresenta il pensiero prigioniero di sé stesso che si allontana dalla ragione.
Le donne Kuna con le loro molas, spesso simili ma in realtà tutte uniche e diverse, ci restituiscono anche una più generale dimensione estetica di questa popolazione: ossia la piena utilizzazione dello spazio, che deve essere usato al massimo e gli elementi al suo interno devono essere vicini e compatti.
Se apri i cassetti, puoi vederne altre.
8.

Uchikake
Leggi il testo
Siamo in Giappone.
Questo vestito è un messaggio beneaugurale per una sposa: che questo giorno, il giorno del tuo matrimonio, sia per te l’inizio della tua primavera, e che questa sia tanto lunga quanto la vita della gru, che sfiora l’eternità
È un messaggio in codice intessuto nell’uchikake un soprabito che ricopre il kimono, e il linguaggio segreto è costituito dai colori il rosso, l’arancione, o questo bel “giallo oro”, e da motivi decorativi immutati nel tempo: la gru della Manciuria col suo “ciuffo” rosso, simbolo di immortalità, gli iris e i fiori di susino che fioriscono nel cuore dell’inverno, al freddo e al gelo, preannunciando la bella stagione.
È lento e silenzioso il corteo nuziale: si sfalda, si ricompone, ondeggia: sembra la coda di un grande drago. Passa sotto il torii, l’ingresso del tempio shintoista, si ferma presso la fontana: ci si lava le mani, il volto, la bocca, perché nessuno può imbrattare l’interno immacolato del tempio, nessuno vi può pronunciare parole false.
La cerimonia ha i suoi tempi, come la vita dell’uomo, come le stagioni dei campi: ci sarà un tempo per la parola e uno per il silenzio. Dopo le invocazioni, le preghiere e le benedizioni, ecco la bevuta rituale: per tre volte, gli sposi bevono tre piccoli sorsi di sake purissimo da tre coppe di dimensioni diverse: tre volte per tre, per un totale di nove.
Poi sarà la volta dell’offerta ai kami, gli spiriti divini: un ramo di sakaki, pianta sacra agli dei, viene offerta attraverso gesti lenti ed antichissimi: un passo indietro, due inchini, due battiti di mano e un terzo inchino.
Ancora oggi, molte coppie decidono di sposarsi secondo il rito tradizionale che si svolge in alcuni momenti dell’anno considerati propizi, come la primavera e l’autunno e in alcuni giorni considerati fortunati, perché in quei periodi e in quei giorni gli dei sono più predisposti a benedire l’unione.
Queste cerimonie attirano anche l’attenzione di molti visitatori e turisti che scelgono di visitare il Giappone anche in ragione di questa tradizione.
9.

Shiva Natraja
Leggi il testo
Shiva è una delle divinità indu più antiche.
Fa parte della Trimurti, la Triplice Forma assunta dal divino, che si manifesta nelle divinità di Brahma, il creatore, Vishnu, il preservatore, e Shiva, che ha invece la funzione di distruttore.
Nella visione indiana infatti l’universo non è eterno ma si manifesta e scompare in modo ciclico. Al termine di un singolo ciclo cosmico, il dio Shiva dissolve l’universo nella notte per permettere l’alba di un nuovo mondo.
Guardalo in questa riproduzione in bronzo, Shiva, rappresentato come Nataraja, è “signore della danza”: è al suo ritmo che si creano e si distruggono i mondi.
La mano destra regge il damaru, tamburello degli sciamani, mentre con una delle due mani sinistre solleva la lingua di fuoco che distruggerà la terra.
Con il piede destro schiaccia il demone del male e dell’ignoranza a simboleggiare la conoscenza che conduce alla salvezza.
Attorno a lui, infine, la ruota del samsara, il ciclo di rinascite al cui ritmo è scandita la vita dell’universo.
10.

Madonna e Gesù bambino
Leggi il testo
Nel 1928 monsignor Celso Costantini, delegato apostolico in Cina, stava visitando a Pechino una esposizione di arte moderna e venne colpito dai quadri di un giovane artista cinese di nome Chen Yaundu. Mons. Costantini lo invitò dunque nel suo studio, gli parlò del vangelo, e gli mostrò alcune riproduzioni di artisti del Rinascimento italiano, chiedendogli di dipingere un’immagine della Madonna.
Un dipinto di Filippo Lippi, raffigurante Maria in ginocchio accanto a Gesù neonato, fece particolare impressione sul giovane pittore cinese, tanto da portarlo a produrre la propria versione della medesima scena.
Questo quadro sarà il punto di riferimento per due generazioni di pittori cinesi cristiani. Nel 1932 infatti Chen si fece battezzare con il nome di Luca e in seguito fu nominato professore presso l’Università Cattolica di Pechino, mentre una larga schiera di suoi allievi dipinsero tutte le scene del vangelo in versione cinese. Uno di questi allievi fu Huang Ruilong, autore di questo dipinto. Anche qui il soggetto cristiano è perfettamente inserito nel contesto e nello stile pittorico tradizionale cinese.
Con l’avvento al potere di Mao Zedong, l’Università di Pechino fu chiusa, molti artisti si recarono all’estero e il loro maestro, Luca Chen, rimasto in Cina, fu una delle vittime della Rivoluzione Culturale.
11.

Kannon
Leggi il testo
Osserva questa piccola statua di porcellana bianca. Osservala attentamente e nota somiglianze e differenze con quella accanto.
Vedi una testolina che spunta dall’incrocio della veste? Simboleggia Gesù bambino. Eh sì è una Madonna.
Il cristianesimo arrivò in Giappone nel 1549, portato dal gesuita Francesco Saverio. Fino al 1614 i giapponesi convertiti erano alcune migliaia. In quell’anno lo shogun, capo militare e di fatto governatore del Giappone, emise un bando contro la nuova religione in seguito al quale vennero espulsi i missionari e martirizzati coloro che non volevano rinnegare pubblicamente il proprio credo. I cristiani giapponesi sopravvissuti dovettero nascondersi e mascherare la loro fede trasformando le raffigurazioni dei santi e della Vergine Maria in statuette che assomigliavano alle statue tradizionali di Buddha, o di Guanyin, la divinità buddhista della compassione, che in Giappone si chiama Kannon.
Questa piccola statua in porcellana bianca è stata usata come simbolo della Vergine Maria e chiamata quindi Maria-Kannon. La posizione del corpo è la stessa della statua di Guanyin esposta accanto, ma osservando attentamente, si vedono dei simboli cristiani: una testolina che spunta all’incrocio della veste, a simboleggiare Gesù bambino, la collana con una croce e un crocefisso sulla schiena.
Un altro oggetto legato alla persecuzione è il medaglione ovale esposto che raffigura la Madonna del Rosario. Si tratta di un fumi-e, che letteralmente significa “calpestamento figurato”: questa rappresentazione veniva fatta calpestare a piede nudo dalle persone affinché dimostrassero la loro estraneità e il loro rifiuto nei confronti del culto cristiano.
Martin Scorsese ha raccontato questa storia nel film Silence, del 2016.
12.

Pannello dedicatorio
Leggi il testo
Cosa regalare alla zia per il suo ottantesimo compleanno?
Wu Xian Da ha regalato alla sua cara zia Li questo pannello in seta rossa realizzato nella Cina meridionale tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. È ricamato con fili di seta colorata, fili metallici e arricchito con applicazioni di seta dipinta.
Osserva con attenzione i particolari della composizione.
Gli ideogrammi nella parte centrale sono una vera e propria dedica grazie ai quali sappiamo infatti chi sono il committente e la destinataria del dono.
Sempre nella parte centrale compaiono il grande ideogramma di buon augurio Shou e una scena ricca di simboli che ha come protagonista proprio la festeggiata.
Nella striscia superiore è raffigurata nuovamente la signora Li insieme al marito Shi Fu che ricevono gli auguri dal loro nipote.
Nelle strisce laterali sono raffigurati gli Otto immortali del Taoismo sulle loro cavalcature accompagnati da simboli di buon auspicio.
Infine, nella fascia in basso Wu Xian Da ha deciso di inserire i cani leonini fo, solitamente posti a guardia dei templi.
Nessuna scelta è stata fatta quindi a caso, ogni elemento, compreso il colore rosso usato come base del ricamo, esprime l’intenzione di augurare ogni bene alla persona a cui è destinato il dono, la cara zia Li.
13.

Ji fu-Abito mandarinale
Leggi il testo
Siamo in Cina tra la fine del 1800 e i primi anni del 1900 e ci avviamo verso la fine dell’Impero governato dalla Dinastia Qing.
Quello che stai guardando è il tipo di abito che indossavano i membri della famiglia imperiale, i principi, i nobili, i duchi e i letterati-burocrati nell’esercizio delle loro funzioni quotidiane, infatti viene chiamato costume ufficiale semi-formale.
Per le occasioni più importanti si utilizzava invece un costume formale ancora più sontuoso e arricchito da numerosi accessori.
Come per molti altri oggetti cinesi esposti in museo, anche questo abito è riccamente decorato e ogni elemento rimanda a significati simbolici.
Osservarlo è infatti un pò come leggere un libro.
Probabilmente la tua attenzione è attratta dalla raffigurazione del drago ripetuta più volte sull’abito. In totale questo motivo è riprodotto 8 volte, più una, nascosta all’interno della piega della veste. E Il numero nove non è scelto a caso, era di buon auspicio ed era segno di virilità e potere.
Inoltre, il drago, pur essendo simbolo dell’imperatore era presente su quasi tutti gli abiti dei funzionari e dei nobili, a testimonianza dell’origine imperiale del loro potere.
Il colore blu indica invece che questo abito in particolare era indossato dai letterati.
Il rimando è probabilmente all’enorme quantità di ore che i giovani studenti dovevano dedicare allo studio per superare gli esami ufficiali.
Spesso erano costretti a studiare anche tutta la notte aiutati da lampade che emanavano luce blu, e da qui il collegamento con il colore dell’abito.
Sul fondo della veste ci sono delle linee oblique, rappresentano le onde del mare profonde, mentre poco sopra ci sono le onde del mare più superficiali.
Tutto il resto dello spazio al di sopra delle onde è riservato al cielo con le nuvole e abitato da numerosi animali ed elementi simbolici, tra cui il pipistrello e la gru della manciuria.
Non è immediato riconoscere e comprendere tutti gli elementi perché sono molto stilizzati, ma se ti interessa scoprire i significati di tutti i simboli di questo abito, puoi farlo con la postazione multimediale.
Infine, l’abito era anche arricchito da accessori che rendevano visibile e permettevano di identificare il rango di chi li indossava.
Eh sì, perché i letterati burocrati erano divisi in nove gradi.
Tra questi accessori non poteva mancare un rettangolo di stoffa con raffigurazioni di volatili, chiamato bu-fu, quadrato mandarinale, che veniva applicato sul petto e sulla schiena.
A completare l’abbigliamento c’erano i bottoni, ossia delle sfere di materiali diversi che venivano applicate alla sommità dei cappelli, come puoi vedere in questa vetrina.
14.

Ruyi
Leggi il testo
“Come desideri”, Ruyi, è il messaggio che questo scettro cinese in legno di canfora finemente intagliato comunica a chi lo riceve in dono.
Durante la dinastia Qing, l’ultima a governare in Cina fino al 1911, i ruyi venivano donati ai letterati, proprio per il loro messaggio benaugurale ed erano anche apprezzati per il loro carattere ornamentale.
In Cina, un regalo fatto a una persona, al di là della sua bellezza, è sempre carico di significato. Il messaggio può essere comunicato attraverso un testo scritto, oppure si può ricorrere all’utilizzo di elementi decorativi simbolici.
Questo ruyi, ad esempio, presenta tutti i simboli classici per augurare lunga vita.
Osserva la forma.
È la stilizzazione di un fiore di loto con il suo stelo.
Per quanto riguarda la decorazione, invece, sulla parte inferiore del manico è raffigurato un daino mentre su tutta la lunghezza puoi vedere motivi vegetali fra cui il pino, il ramo di pesco, la pesca e il bambù. Tra questa vegetazione volteggiano anche dei pipistrelli.
Sulla testa del ruyi troneggia Shoulao, la divinità taoista della longevità, che cavalca una una gru fra pini e pipistrelli.
E tu cosa regaleresti a una persona cara per augurarle che si avveri ciò che desidera?
15.

Pantheon
Leggi il testo
Fai qualche passo indietro e guarda questa grande struttura nel suo insieme.
Che parole useresti per descrivere la sua forma?
Solitamente viene definita come flammiforme, ossia a forma di fiamma. Anche il colore sembra ricordare il fuoco.
È un pantheon, una rappresentazione dedicata a tutte o a un insieme di divinità, e questo in particolare veniva collocato all’interno dei templi taoisti in Cina, dietro l’altare della sala di venerazione, leggermente inclinato in modo tale che tutte gli dei potessero guardare verso il basso e rivolgere così il loro sguardo benevolo verso i devoti.
E’ un oggetto complesso, composto da molti elementi. Per la precisione sono raffigurati 31 personaggi disposti su vari livelli.
Per leggerlo e decifrarlo possiamo partire dall’alto verso il basso.
Nel livello più alto dominano i Tre Puri, che sono considerati come delle incarnazioni del Tao, la via.
A sinistra, in posizione ritenuta di particolare onore dai cinesi, ma a destra per te che lo vedi di fronte, c’è Laozi, considerato il filosofo fondatore del taoismo.
Sotto i tre puri sono presenti 9 figure che poggiano su nubi stilizzate, a significare che sono divinità celesti: al centro il capo delle potenze celestiali; ai suoi lati due geni, gli spiriti dell’aria, e, all’estrema destra e all’estrema sinistra, rispettivamente gli spiriti del sole e della luna.
Al di sotto vi sono altre 19 raffigurazioni: i trascendenti. Poggiano su rocce, a significare che sono divinità terrestri: cinque spiriti o diavoli stellari, incaricati della salute e delle malattie degli uomini, e otto spiriti incaricati del buon governo del popolo.
In particolare è possibile riconoscere al centro, su un uccello mitologico, Tai Sui, lo spirito celeste che gira nei cieli a governare le stagioni e il tempo.
Da notare anche la figura con 8 braccia, si chiama Tou-Mu, Madre del grande carro, ed è una divinità buddhista. Ma cosa ci fa qui? I taoisti l’hanno integrata nella loro religione intorno al VII-VIII secolo d.C.. Incaricata di guardare i registri della vita e della morte di ogni uomo, è venerata da tutti quelli che sperano di vivere a lungo.
Veniamo infine al materiale, questo pantheon è fatto in legno di canfora, un legno molto leggero, ricoperto da uno strato di lacca rossa e dorata. Originariamente la struttura era assemblata con un sistema a incastro e ogni personaggio era appoggiato liberamente al suo piano, senza l’utilizzo di chiodi o elementi in ferro, secondo la più pura tradizione scultorea cinese che non ammette la commistione tra ferro e legno.
Per esigenze di conservazione, oggi è stato messo in sicurezza attraverso un sistema di tasselli e tiranti sul retro che mantiene comunque integra la visione d’insieme della struttura.
16.

Klu - Tamburi delle rane
Leggi il testo
Hai già provato ad ascoltare il suono di questi tamburi?
Che sensazione ti trasmettono?
Siamo sulle montagne nelle zone al confine tra Myanmar, Laos e Thailandia. La popolazione Kayan, alla quale appartengono, li considera sacri e li utilizza solo poche volte all’anno, nelle occasioni importanti per la comunità come un matrimonio, la costruzione di una nuova casa, o all’inizio della stagione delle piogge.
Riesci a identificare cosa sono le decorazioni riprodotte quattro volte sui bordi dei tamburi?
Non è immediato perché sono piuttosto stilizzate, ma si tratta di rane.
Le rane amano l’acqua e il clima umido e il loro gracidare è collegato all’arrivo delle piogge. Per questo motivo sono tenute in grande considerazione dalle popolazioni che vivono di agricoltura, come i Kayan, che coltivano principalmente il riso, che è alla base della loro alimentazione e del loro sostentamento economico.
Per estensione, questi tamburi sono conosciuti come “tamburi delle rane”, mentre nella lingua originale dei Kayan, si chiamano Klu.
Verso la metà di aprile i Kayan celebrano la festa dei Klu. Appendono i tamburi con grandi corde a una struttura orizzontale in bambù e li suonano per invocare benedizioni sul nuovo anno e auspicare abbondanti piogge.
Un detto Kayan afferma:
“La rana grida, viene la pioggia .
Se la pioggia cade, il pesce guarda in alto, l’acqua aumenta.
Aumentando l’acqua, l’elefante tira.
Se l’elefante tira, i tronchi scivolano.
Scivolando i tronchi, la nazione prospera”.
Dato il loro scopo, sono realizzati con una lega di cinque metalli preziosi: argento, oro, rame, stagno e zinco.
Osservando con attenzione, puoi cogliere la ricchezza dei particolari.
La decorazione è regolare e simbolica: cerchi concentrici con al centro una stella che rappresenta il sole. Nei due tamburi più a destra, all’interno dei cerchi puoi vedere, in rilievo, animali dello zodiaco cinese, molto diffuso in tutta l’Asia.
Infine, all’interno del museo puoi scoprire anche alcuni elementi caratteristici dell’abbigliamento delle donne Kayan che aiutano a saperne di più su questa comunità.